Biografia

francesco farina

Nato a Sassari nel 1950 dove vive e opera. Conseguita la maturità artistica nei
primi anni ʻ70 partecipa attivamente alla vita artistica regionale e naziona-
le, proponendo la sua produzione grafica, pittorica e scultorea. Il
percorso è caratterizzato dallʼesposizione di mostre, perso-
nali, collettive e rassegne dʼarte a carattere concor-
suale nel cui ambito consegue premi e ricono-
scimenti. Sue opere sono esposte in
collezioni pubbliche e private,
gallerie chiese e
piazze.

Nato a Sassari nel 1950 dove vive e opera. Conseguita la maturità artistica nei primi anni ʻ70 partecipa attivamente alla vita artistica regionale e nazionale, proponendo la sua produzione grafica, pittorica e scultorea. Il percorso è caratterizzato dallʼesposizione di mostre, personali, collettive e rassegne dʼarte a carattere concorsuale nel cui ambito consegue premi e riconoscimenti. Sue opere sono esposte incollezioni pubbliche e private, gallerie chiese e piazze.

disegna, dipinge scolpisce (ma soprattutto disegna) da sempre. Dicono a casa sua che il disegno lo scoprì da solo, quando aveva sette-otto anni o giù di lì: da quel momento le matite colorate diventano un regalo obbligato. Quando il maestro gli dava un tema, dice scriveva in fretta un paio di facciate di componimento (si chiamerà ancora così?) e passava subito a tradurre il compito in immagini. Quel suo maestro di allora lo conosco anchʼio: anzi, è uno dei più apprezzati e più intelligenti che ha potuto avere la generazione di Farina.
Ma Farina va poco per il sottile con le finezze pedagogiche: ancora non da ragione del perché al maestro quei disegni non piacessero. Meglio perché non gli piaceva che disegnasse. E si capisce: se il componimento si fa per imparare a scrivere in italiano, saltare al disegno vuol dire disertare il campo, cercare un escamotage. Ma quando fu allʼultimo anno delle elementari fu proprio quel maestro così rigoroso a consigliare ai suoi genitori di mandarlo allʼIstituto dʼArte. Così il disegno sta nel destino di Farina da sempre. AllʼIstituto dʼArte fece tutta la strada, dalla scuola media alle superiori. Con insegnanti non molti anni più grandi di lui, come Zaza Calzia e Nino Dore, ma anche con quello che è stato, nella storia delʼarte sarda del Novecento, il maestro di tutti i disegnatori, il più raffinato e sapiente, Stanis Dessy. È aneddoto fin troppo conosciuto che ai funerali di Michelangelo ci fu disputa breve per decidere quale delle espressioni dellʼarte che il morto avesse frequentato dovesse precedere le altre in posizione dʼonore nella animata processione che lo accompagnò: il disegno vinse alla grande, quasi senza opposizione.
Da allora ci fu accordo comune, nei secoli, che saper disegnare fosse il fondamentale più necessario a chi voleva vivere dʼuna qualsiasi arte figurativa.
Ma dove Farina si misura meglio non solo con la tecnica ma con la sua stessa vocazione sono i “ritratti dal vero”. Con una particolare preferenza per i visi solcati dai segni di lunghe fatiche, siano certi personaggi della Sassari più povera e più popolaresca (sino alla doppia versione di Trappadè), siano i pescatori di Porto Torres (solo a Maurilio Usai è riservato quello che i registi chiamano “un piano americano”, forse perché dire Maurilio vuol dire quasi “il vecchio e il mare”, anche se si tratta di un uomo pieno di una forte maturità), siano soprattutto i visi di cinque anziani gremianti sassaresi, certamente fra i “pezzi” più belli di questa ideale raccolta. Cʼè anche il paesaggio, certo. Farina é stato anzi conosciuto subito per la simpatia con cui è andato a cercare e fissare sulla carta certi angoli della Sassari vecchia (anche qui la ricerca di una categoria ideale di “popolare”) o la ancora emozionante sequenza di cancelli di campagna.
E non solo Sassari ma anche i suoi dintorni e, andando più lontano Porto Torres con la basilica e la chiesetta marina dei Martiri e Ozieri con i suoi paesaggi nebbiosi: ma di nuovo, per dire quanto il gusto della figura umana faccia aggio ad ogni altro soggetto, ecco unʼaltra galleria di ritratti ideali: sono i “poeti” che cantando a gara sul palco ozierese inaugurarono la lunga stagione dellʼimprovvisazione a sfida. Icone di una tradizione, colti nella solennità del loro abbigliamento (il costume sardo è trattato come una cosa “vera”, non come decorazione folcroristica, non solo in questi ritratti ma anche negli altri in cui i soggetti sono uomini di tempi di una qualche lontananza; e anche, soprattutto, nei ritratti di fanciulle in costume, dove nulla cʼè di un astratto piacimento “sardistico”. Farina ci riserva una sorpresa: la prima è il ritratto-caricatura dei giocatori della Dinamo Basket. E poi caricature di unʼintera folla di compagni di lavoro: sono operai e impiegati e (anche) i datori di lavoro di quellʼantica Tipografia Chiarella dove Farina passò a lavorare come grafico praticamente allʼindomani della sua maturità dʼIstituto dʼArte. Lì è stato qualcosa come dodici anni, se non ricordo male, per “scendere” poi a Muros, negli stabilimenti della Stampacolor: dove io che già avevo lavorato con lui quandʼera da Chiarella, lʼho ritrovato con piacere come capita quando fra chi “inventa” una copertina, un manifesto, un cartoncino e chi deve realizzarlo ma aggiungendo e spesso capovolgendo di suo si stabilisce un rapporto che è prima di tutto di fiducia, ciascuno nelle scelte dellʼaltro.

Manlio Brigaglia